Titolo che richiama gratuitamente il film di Fellini, col quale non c'entra assolutamente nulla. Forse lo scelsi perché la prima registrazione (1986) era caratterizzata da un arrangiamento ricco di archi (e suoni) elettronici.
Per una seconda incisione (17 luglio 1990) mi avvalsi della collaborazione tecnologica di Lorenzo Riccardi: chitarra e voci mie, al basso Ivano Grasselli (noto musicista della scena pavese di allora). L'intenzione era di partecipare al Premio Città di Recanati, dove si affacciavano i giovani virgulti del cantautorato italiano. Non mandai nulla, alla fine. Ma la registrazione è sopravvissuta.
Ancora non soddisfatto, mi sono rimesso al lavoro nel 1998 (col Korg), producendone una versione scarna, solo voci e chitarra (arpeggiata).
Un'ultima versione risale al 2008, più vicina alla prima. Mio fratello Giacomo alla chitarra elettrica e ai suoni elettronici.
Eccola.
Il testo sotto la finestra del video.
Prova d’orchestra
nella prima scena del secondo atto
riproducono vaste vite
distribuiscono le parti
ciascuna con le sue note
nella seconda scena del secondo atto
si riflettono pensieri reali
li trasmettono con gesti ovattati
trasformandoli in effetti speciali
e tra una scena e l’altra
una lunga pausa di concentrazione
dove riposa la realtà
in attesa della sua infinita
inevitabile dissoluzione…
nella terza scena del secondo atto
inchiodati sul pianoforte
due amanti si stanno scambiando le labbra
per la prima volta
nella quarta scena del secondo atto
sdraiati sulla coda del pianoforte
gli amanti stanno già tracciando
la comune sorte
e tra un abbraccio e l’altro
un lungo applauso di liberazione
per quella scarica di sensualità
inghiottita dalla loro infinita
inevitabile separazione…
di quanti sguardi di quanti segnali
hai bisogno allora
e quanti discorsi o possibilità
devi bruciare ancora
per capire che anche tra di noi
che anche tra di noi dovranno alzarsi
trecento notti trecento pareti
che non ci saranno che ricordi
e silenzi trattenuti
che le nostre mani stringeranno
mani fredde e fredde nostalgie
che ridurremo l’universo
a due stupide fotografie
nella quinta scena del secondo atto
ristabiliscono le misure
sullo sfondo si proiettano le ombre
di terribili figure
nella sesta scena del secondo atto
ricompongono le ferite
ammorbidiscono l’impatto sulla terra
delle meteore cadute
e tra una scena e l’altra
esplodono le lampade di posizione
e assediati dall’oscurità
siamo circondati da un’infinita
inevitabile allucinazione…
nella settima scena del secondo atto
immobili nel vano di una cieca soglia
gli amanti si stanno uccidendo
per l’ultima volta
nell’ultima scena del secondo atto
sepolti da una musica di pianoforte
gli amanti stanno ritardando
l’abbraccio della morte
e tra un respiro e l’altro
una lotta senza convinzione
e senza più disparità
conclusa dalla loro infinita
inevitabile ricongiunzione…
di quanti sguardi di quanti segnali
hai bisogno allora
e quanti discorsi o possibilità
devi bruciare ancora
per capire che anche tra di noi
che anche tra di noi dovranno alzarsi
trecento notti trecento pareti
che non ci saranno che ricordi
e silenzi trattenuti
che le nostre mani stringeranno
mani fredde e fredde nostalgie
che ridurremo l’universo
a due stupide fotografie